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Civita di Bagnoregio. Perché la città che muore?

Civita di Bagnoregio nasce su uno sperone di tufo, come Orvieto e Pitigliano, generato dalle eruzioni del sistema vulcanico Volsino – quello che poi portò alla formazione del lago di Bolsena, che è il lago di origine vulcanica più grande d’Europa. Però il tufo qui è molto sottile, deposto su uno strato di argille marine, i calanchi.

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L’insediamento si sviluppa fin dall’età del ferro (civiltà Villanoviana), per crescere in epoca Etrusca e Romana. Man mano che la città – posta su un’importante via commerciale che connetteva il lago di Bolsena e da lì il mar Tirreno alla valle del Tevere – si sviluppa, iniziano i primi problemi. Infatti l’uso del terreno per fini agricoli va a togliere la copertura arborea che proteggeva le argille calanchive. Da qui è un attimo: il ruscellamento delle acque meteoriche e dei due torrenti che scorrono intorno alla città scopre le argille creando valloni sempre più profondi…

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Ma nonostante le numerose frane che iniziano a minare la stabilità dell’abitato, questo continua a crescere e arricchirsi. Diviene sede vescovile già nel VII sec e la sua fama aumenta per tutto il Medioevo e il Rinascimento. Finché il 10 giugno 1695 avviene la catastrofe: un forte terremoto colpisce l’Alta Tuscia, provocando danni ingenti ovunque, ma è qui che si hanno i danni peggiori. Il sottile lembo di terra che connetteva Civita alla terraferma frana, e con esso buona parte della città.

 Isolata dal resto della terra, soggetta a continui crolli causati da frane e terremoti, piano piano viene abbandonata. Le famiglie, così come gli uffici, le botteghe e le officine si trasferiscono a Rota, che prima era solo una frazione e diviene il nuovo centro politico, amministrativo, sociale. Civita, la città, inizia a morire.

Il soprannome “città che muore” gli venne dato da uno dei suoi più illustri cittadini

Fu infatti Bonaventura Tecchi, poeta e germanista nato a Bagnoregio nel 1869, a coniare questa definizione, con cui oggi Civita è famosa in tutto il mondo.

Nel suo libro Antica Terra, una raccolta di frammenti scritti dal 1934 al 1967, ci lascia una descrizione indimenticabile: 

Tutto quel che è rimasto – un ciuffo di case e di mura in rovina, nere sul tufo, erette come sul vuoto – respira ormai l’atmosfera dlela fine. L’unica strada, esile e bianca come un nastro, che congiunge il mondo di qua alla terra ferma e sicura, il ciuffo nero di case, l’isolotto alto di tufo, sospeso in mezzo al mare delle crete e degli abissali ‘cavoni’, sta per crollare. […]

Tra qualche mese o qualche giorno, forse una di queste notti piovose d’inverno, l’unico esile legame cadrà. Sono andato ancora una volta a vedere, prima che sia troppo tardi

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Collegata alla terraferma solo da un ponte pedonale

Si è stimato che in alcuni punti il terreno si sia abbassato di circa 7 cm l’anno. All’inizio del secolo scorso si dota la città di una lunga passerella di legno, unica strada d’accesso, e solo negli anni ’60 si costruisce il ponte in cemento armato che ancora oggi è l’unica via che permette di arrivare al borgo.

Vale la pena percorrerlo almeno una volta: solo 9 persone sono residenti stabilmente a Civita di Bagnoregio, oggi, e il borgo è rimasto pressoché intatto, immune allo scorrere del tempo: se non fosse che molte delle vie cittadine invece di affacciare su piazze e palazzi affacciano direttamente sul vuoto.

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Il set perfetto per il cinema

Civita di Bagnoregio è stata il set cinematografico di molti film, serie tv, programmi televisivi e spot, tra cui:

  •  Il medico e lo stregone del 1957, di Mario Monicell. Intressante anche perché permette di vedere i cambiamenti avvenuti in mezzo secolo
  • Il film I due colonnelli (1962), regia di Steno con Totò protagonista
  • Il quarto episodio (Il prete) del film Contestazione generale del 1971 con Alberto Sordi
  • Lo sceneggiato televisivo Pinocchio di Alberto Sironi trasmesso su Rai 1 nel 2009.
  • Il film Puoi baciare lo sposo di Alessandro Genovesi (2018) con Diego Abatantuono e Monica Guerritore
  • Il film Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher del 2018, premiato al festival di Cannes

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